L’INTERVISTA
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Come cambiano le tendenze delle famiglie al momento dell’acquisto degli alimenti da mettere in tavola.“La spesa? Vince il food di qualità”D’Antonio: “Le produzioni tipiche, la tracciabilità, l’attenzione alla salubrità si incrociano con i nuovi stili di vita. Si apre un nuovo e grande mercato dove diventa prioritario il rapporto di fiducia tra le aziende ed il consumatore finale”.
(Er.Pa.) – “Siamo di fronte ad un cambiamento di stili di vita epocale, l’approccio all’alimentazione si configura come un momento fortemente incentrato sull’attenzione alla salute e, quindi, sulla ricerca della qualità dei prodotti. Non sorprende, dunque, la crescita dei consumi che fanno riferimento a filiere tracciate e monitorate nel percorso che va dal campo alla tavola. La nuova frontiera dell’agricoltura e dell’intero comparto agro-alimentare è proprio questa: rispondere alla domanda di sicurezza da un lato; assicurare – dall’altro – un contenuto compatibile con la richiesta di salubrità del cibo”. Giuliano D’Antonio, agronomo, esperto di tecniche di coltivazione biologica, analizza i dati diffusi dall’Ismea che fanno riferimento ai primi otto mesi (gennaio-agosto) dell’anno in corso ed evidenziano come, nel caso delle produzioni ad Indicazione Geografica (IG) “il valore aggiunto crei valore”. La spesa dei prodotti agroalimentari in genere (a peso fisso) è cresciuta dell’1,2% su base annua, quella dei prodotti Dop e Igp è aumentata del 7% in valore (+12,1% in volume).
Dottore D’Antonio, che cosa sta succedendo nel campo dei consumi legati all’alimentazione?
“E’ in atto un profondo cambiamento con il quale l’intero sistema economico e produttivo del circuito agro-alimentare deve assolutamente confrontarsi. Altrimenti rischia di rimanere al di fuori del nuovo perimetro nel quale si stanno calando i vari tipi di mercati del food”.
Che cosa significa più esattamente?
“Tutti i dati e le statistiche più attendibili ci raccontano di un nuovo approccio ai consumi alimentari. C’è una maggiore attenzione alla provenienza, all’utilizzo dei metodi di coltivazione e di produzione, alla sicurezza ed alla tracciabilità di quello che mangiamo. Significa, cioè, che il consumatore finale ritiene fondamentale capire bene che cosa acquista e quali conseguenze può avere sulla sua salute. E’ in cerca, quindi, di un rapporto che possiamo definire fiduciario con l’azienda che immette sul mercato i prodotti che lui compra”.
Grandi opportunità per le aziende, ma anche necessità di crescere sul piano degli standard qualitativi. E non solo dentro gli stabilimenti, ma anche fuori nel rapporto con il territorio. Che cosa ne pensa?
“Sicuramente il tema della relazione delle imprese con il territorio nel caso delle produzioni agricole ed agro-alimentari è sostanziale. La simbiosi con l’ambiente circostante è uno degli elementi che può essere considerato uno dei fattori di successo (o di insuccesso). In questo senso, per esempio, le aziende che ricorrono al metodo biologico rappresentano un punto di riferimento molto importante proprio perché i consumatori appaiono sempre più orientati ad acquistare alimenti non trattati con prodotti chimici, ma solo in maniera naturale. La vera sfida è, quindi, quella di creare equilibri eco/compatibili. In questo caso l’agricoltura diventa un presidio attivo di tutela, manutenzione e valorizzazione del territorio. Oltre che motore della filiera con più ampie prospettive di crescita sui mercati interni ed internazionali”.
E le criticità?
“Non mancano di certo. Posso elencarne diverse. Tra quelle più importanti ravviso la scarsa sensibilità delle Istituzioni a tutti i livelli nel sostenere ed incoraggiare azioni di sistema tra pubblico e privato, partenariati assolutamente indispensabili per garantire risultati diffusi, capillari. Penso, per esempio, alla necessità di favorire aggregazioni tra imprese in modo da aumentare la capacità di impatto sui mercati, nella fase di contrattazione dell’offerta delle produzioni. O, ancora, all’urgenza di definire una comunicazione adeguata agli standard qualitativi. Una comunicazione che, a mio giudizio, non può essere disgiunta dalla promozione e dalla valorizzazione dei territori”.
In altre parole, lei vede favorevolmente la creazione di marchi di qualità su base territoriale?
“Sono senza dubbio una strada percorribile che in molte aree d’Italia ha dato i suoi buoni frutti. Ma non bisogna commettere l’errore di pensare che il marchio possa sostituire il prodotto. E’ necessario prima lavorare alla qualità del prodotto e, poi, comunicare bene il prodotto. Nel nostro caso, in molte zone del Sud, il prodotto c’è senz’altro, sia in termini di qualità delle produzioni agricole ed agro-alimentari, che dal punto di vista della capacità attrattiva dei territori. Ma manca, purtroppo, la logica di sistema, la condivisione dei progetti di crescita. Manca, cioè, lo spirito di squadra. Torna di nuovo il discorso di prima: pubblico e privato – e lo stesso privato al suo interno – viaggiano troppo divisi. E, quindi, perdiamo terreno nella grande partita aperta tra territori, prim’ancora che tra Paesi diversi”.